Operazione
Infinito, un altro colpo alla malavita: sequestrati beni per 15
milioni di euro
I ritratti dei boss. Ecco chi sono i capi della 'ndrangheta in
Lombardia. Il loro obiettivo: gli appalti di Expo 2015
Ancora
latitante Vincenzo Mandalari, colui che al telefono disse:
"Adesso comincio a sparare nelle gambe". Un consiglio ai
politici locali: seguite l'esempio di Desio, dove i consiglieri
leghisti hanno sentito puzza di bruciato e hanno mandato tutti a
casa
VILLA-BUNKER - La residenza del boss Vincenzo Mandalari, a
Bollate, in provincia di Milano. Mandalari è uno dei capi della
'ndrangheta in Lombardia. Lo scorso luglio è sfuggito
all'arresto, nel maxi blitz che ha portato in carcere 180
persone. Ricercato in tutta Italia, ha fatto perdere le tracce e
si è dato alla latitanza
di Ersilio Mattioni
MILANO (3 dicembre 2010) –
L’inchiesta Infinito tiene fede al
proprio nome di battesimo. Nel luglio scorso erano stati arrestati,
in tutta la Lombardia, 180 presunti boss della ‘ndrangheta (per
leggere il mandato di cattura in versione integrale,
cliccate qui), mentre
questa mattina a Milano i finanzieri del nucleo Polizia Tributaria
hanno eseguito sequestri patrimoniali di beni immobili nei confronti
di affiliati all’organizzazione malavitosa calabrese. I sequestri
riguardano 39 abitazioni, 37 box, 8 locali commerciali, 6 magazzini
e 6 aree edificabili nelle province di Milano, Varese, Pavia,
Bergamo, Como, Lecco, Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia e Reggio
Calabria. I beni erano nella disponibilità di 36 persone, tra cui
molti boss, per un valore complessivo che si aggira attorno ai 15
milioni di euro. Avrebbero potuto aspettare, gli inquirenti. Anche
per tenere sotto controllo i movimenti dei malavitosi e scoprire
nuovi traffici. Ma il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, assieme
ai pubblici ministeri Paolo Storari e Alessandra Dolci, hanno avuto
dai carabinieri di Monza e dal Ros di Milano un’informazione che ha
li ha convinti ad agire subito: molti degli immobili stavano cioè
per essere venduti. Così è scattato il sequestro preventivo,
finalizzato alla confisca. Una decisione controfirmata dal giudice
per le indagini preliminari, Andrea Ghinetti. Intanto la procura di
Milano si prepara per chiedere di processare con rito immediato le
circa 180 persone arrestate lo scorso luglio.
L’esempio di Desio
Gli immobili sequestrati, comprati con soldi sporchi, compongono
soltanto una parte dell’immenso patrimonio che la ‘ndrangheta ha
costruito in questi anni in Lombardia. E adesso si capisce qualcosa
di più sulle collusioni fra malavitosi e politici, sui rapporti
borderline, sulle relazioni spregiudicate di una parte della classe
dirigente lombarda che, nell’ipotesi più benevola, ha chiuso gli
occhi e nell’ipotesi più devastante ha fatto affari con i criminali
della ‘ndrangheta. E’ successo in tanti comuni della regione più
ricca d’Italia, meta prediletta dell’organizzazione calabrese. E’
successo e continua a succedere. Il punto è che, per proteggere le
città, non bisogna aspettare l’intervento dei magistrati. A Desio in
Brianza, per esempio, i consiglieri della Lega Nord, dopo che
l’inchiesta Infinito aveva chiamato in causa politici locali del Pdl,
hanno deciso di mandare tutti a casa, dimettendosi e provocando lo
scioglimento del consiglio comunale. Un gesto di grande
responsabilità e un colpo alla ‘ndrangheta e ai suoi affari in
itinere. Oggi a Desio c’è un commissario prefettizio che ha blindato
l’ufficio tecnico e che sta passando le carte sotto la lente
d’ingrandimento.
Ritratti di boss
Tornando ai beni sequestrati, alcuni immobili appartenevano a
Vincenzo Mandalari, Giuseppe ‘Pino’ Neri e Vincenzo Novella. Due dei
tre boss, che hanno guidato in questi anni la cosiddetta ‘provincia
lombarda’, cioè il vertice della ‘ndrangheta in Lombardia, sono
finiti in carcere lo scorso luglio. Il terzo, Mandalari, è sfuggito
all’arresto ed è tuttora latitante.
Pino Neri, il pavese
Neri, nato a Taurianova in provincia di Reggio Calabria il 19
novembre del 1957, è da anni residente a San Martino Siccomario, in
provincia di Pavia. Viene indicato come uno dei massimi esponenti
dell’organizzazione, mandato al Nord non solo per gestire i traffici
illeciti ma anche, e soprattutto, per avviarne di nuovi. L’anno
scorso il potente boss viene fotografato dagli investigatori in
compagnia di Angelo Ciocca (che nella scorsa primavera è stato
eletto consigliere regionale della Lega con 19mila preferenze, un
record assoluto nella storia del Carroccio). Un’istantanea che mette
nei guai il Brad Bitt dell’Oltrepò, anche se Ciocca nega di
conoscere Neri e non è neppure indagato. Del resto, chi sarebbe
tanto fesso dal sedersi in pieno giorno, in un bar del centro di
Pavia, assieme a uno dei capi della ‘ndrangheta per parlare di
affari loschi? Meglio incontrarlo di notte e al riparo da occhi
indiscreti. Noi, da garantisti, vogliamo dare fiducia a Ciocca.
Quindi gli chiediamo di rispondere a queste semplici domande: “Chi e
per quale motivo gli ha organizzato l’incontro con Neri? Di cosa si
è parlato in quel bar del centro? Cosa ha domandato Neri e cosa ha
risposta Ciocca?”
Vincenzo Mandalari, il latitante
Mandalari, nato a Guardavalle in provincia di Catanzaro il 18
luglio del 1960, è residente a Bollate, nell’hinterland milanese, in
una villa-bunker, dove tutto, tranne la bandiera della sua squadra
del cuore, è nascosto dietro strati di mattoni, filo spinato e
cancelli. E’ l’unico dei tre boss, Mandalari, a essere sfuggito
all’arresto. Sulla carta è un imprenditore edile incensurato, anche
se la sua società, le Imes srl, è intestata all’anziana madre. In
realtà Mandalari è il capo dalla ‘ndrangheta bollatese. Le
intercettazioni telefoniche sono eloquenti e dimostrano come il
malavitoso abbia cercato di penetrare nella pubblica
amministrazione, con l’aiuto di un ex consigliere comunale di
centrosinistra, Francesco Simeti. Lo dice al telefono. E dice pure
un’altra cosa inquietante, cioè di essere pronto a imbracciare le
armi per difendere i suoi affiliati: “Comincio a sparare ma sparo
nelle gambe”. Simpatico, il tipo. Una città particolare, Bollate.
Qui da tempo si vocifera di infiltrazioni mafiose nella pubblica
amministrazione. Al punto che Vinicio Peluffo, parlamentare del Pd e
residente nella vicina Rho, ha invocato l’intervento del ministro
degli Interni, Roberto Maroni, chiedendogli di valutare la
possibilità di sciogliere il consiglio comunale. All’interrogazione
depositata in parlamento non è ancora stata data risposta. Peluffo è
passato così all’attacco: “L’atteggiamento del ministro è
inqualificabile: da quasi due mesi deve rispondere a una nostra
interrogazione sulla ‘ndrangheta a Bollate, ma l’interrogazione
viene calendarizzata e poi, sistematicamente, rinviata”. Eppure i
tentativi di infiltrazioni da parte della ‘ndrangheta negli organi
amministrativi ci sono. Tanto che Peluffo sospetta persino “un
condizionamento del voto della scorsa primavera”. Non tutti i
leghisti sono uguali. Ci sono quelli di Desio, che mandano a casa
un’amministrazione, dove stanno in maggioranza, perché sentono odore
di bruciato e perché vogliono proteggere la loro città. E poi c’è
chi siede sui banchi del consiglio provinciale di Milano. Come Marco
Paoletti che ha di recente parlato di Bollate in aula, dichiarando:
“Certo, alcuni fatti di cronaca parlano di presenze di cosche
mafiose. Tuttavia i comuni del nostro territorio, per fortuna, sono
realtà ben lontane dalle realtà amministrative del Sud. Al di là
degli schieramenti politici, dobbiamo tutti avere un moto di
orgoglio e difendere anche l’immagine del nostro territorio”. A
Paoletti consigliamo di prendere esempio dai suoi amici di partito
di Desio. Loro non si sono preoccupati di difendere l’immagine del
territorio (magari evitando di parlare di ‘ndrangheta, perché non
sta bene), bensì di difendere il territorio. C’è una grande
differenza.
Novella, il pupillo
L’ultimo capo è il giovane Novella, nato a Bollate il 4 marzo
del 1977, residente a Guardavalle in provincia di Catanzaro e
domiciliato a San Vittore Olona, una città dell’Altomilanese ai
confini con Legnano. Novella è stato cresciuto in terra calabra. Ed
è stato cresciuto come un perfetto ‘ndranghetista, con l’obiettivo
di trasferirsi al Nord e radicare l’organizzazione criminale in
un’area ancora vergine. Le cosche, da queste parti, si sono pure
fatte la guerra. Risultato, due omicidi distanziati fra loro da soli
74 giorni, una cosa mai vista nell’Altomilanese che, storicamente, è
immune da certi fenomeni. Il 15 luglio 2008, in pieno giorno, a San
Vittore Olona, sono le due del pomeriggio e tale Carmelo Novella è
al bar, mentre beve, chiacchiera e gioca a una macchinetta
videopoker. All’improvviso entrano due killer a volto coperto e gli
sparano tre colpi di pistola in pieno viso. L’uomo muore sul colpo,
mentre i suoi assassini si dileguano, facendo perdere per sempre le
loro tracce. Passano meno di due mesi e mezzo. E’ il 27 settembre e
siamo a San Giorgio su Legnano, quando una telefonata informa i
Carabinieri che nei pressi del cimitero c’è un corpo all’apparenza
privo di vita: è il cadavere di Cataldo Aloisio. Ha un foro di
pistola che dalla bocca gli arriva alla nuca. Ma chi sono Novella e
Aloisio? Innanzitutto, non sono due illustri sconosciuti. Sono, al
contrario, due esponenti di primo piano della ‘ndrangheta. La loro
storia comincia in Calabria e vale la pena di essere raccontata
(per altri approfondimenti,
cliccate
qui).
L’inchiesta continua…
Infinito sarà un’inchiesta lunga. Finora ha raggiunto due
obiettivi importanti: gli arresti e il sequestrato dei beni. Gli
uomini dello Scico (il Servizio centrale di investigazione sulla
criminalità organizzata) hanno utilizzato un particolare software,
chiamato Molecola, che permette in modo rapido di valutare se vi
siano sproporzioni tra i redditi dichiarati e il patrimonio
accumulato, quando l’indagato commette reati gravi, tra cui
l’associazione mafiosa. Se l’indagato non dimostra la legittima
provenienza dei beni, questi gli vengono confiscati. Nel caso
specifico, i 36 possidenti immobiliari risultavano nullatenenti.
Occhi puntati su Expo 2015
L’aggressione al patrimonio della ‘ndrangheta è avvenuto, come hanno
sottolineato in conferenza stampa il generale Attilio Jodice
(comandante provinciale della guardia di finanza) e il colonnello
Sergio Pascali (comandante provinciale dei carabinieri), “grazie una
sinergia operativa”. Le indagini hanno portato alla luce la
struttura verticistica e trans-regionale della malavita organizzata
calabrese e hanno evidenziato i suoi tentativi di accaparrarsi gli
appalti di Expo 2015. E’ la torta più ghiotta, sulla quale
l’organizzazione calabrese vuole mettere le mani. A tutti i costi.
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