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A Milano la sinistra chiede un codice etico sui manifesti pubblicitari: "Offendono le donne" A chi piace la censura?
Una ditta di caldaie, come slogan, sceglie "Montami a costo zero", mentre una compagnia che vende crociere preferisce "Abbiamo le poppe più famose d'Italia". Frasi divertenti, nulla più, alle quali si abbinano immagini di ragazze in pose sexy. Che male c'è? Chiedetelo alle femministe. A Milano, intanto, sinistra e cattolici del Pd vorrebbero persino un codice etico, con tanto di organismo che decide quali pubblicità autorizzare. Il Pdl stoppa il progetto: "Il senso del pudore, ormai, cambia ogni due anni". Qui sotto ci sono le immagine censurate dal Giurì. Ognuno può giudicare. Noi, in tutta onestà, sentiamo puzza di moralismo
MILANO (16 ottobre
2010)
– Il codice etico, alla fine, non si farà. Non lo vuole il Pdl,
pur con qualche distinguo. E neppure il centrosinistra, pur avendolo
proposto, è compatto. Il caso delle pubblicità a sfondo sessuale,
mega poster sei metri per sei appesi in città, divide il mondo
politico fra censori tout court con accenti vagamente moralisti e
liberali irremovibili nel difendere le leggi di mercato, accanto
alle scelte individuali. A Palazzo Marino, nel corso di una
commissione che avrebbe dovuto istituire un organismo che disciplini
l’affissione dei manifesti-spot, succede di tutto. Patrizia
Quartieri, consigliere di Rifondazione Comunista, veste i panni di
Savonarola e difende la dignità delle donne, i cui corpi sinuosi
vengono esibiti nudi per vendere un prodotto. Intanto, fuori
microfono, Guido Manca (Pdl) manda bonariamente al diavolo un gruppo
di femministe presenti in aula. E sullo schermo, nel frattempo,
scorrono le immagini e le scritte censurate, con tanto di chiosa
seriosa del rappresentante dell’Organismo di autotutela
pubblicitaria. Slide che fanno sogghignare la stragrande maggioranza
dei consiglieri, mentre le donne delle associazioni mostrano
indignazione per cotanto maschilismo. “Abbiamo le poppe più famose d’Italia”, recita lo slogan di una compagnia che vende crociere. Premessa accattivante per una vacanza. I milanesi, prima della ghigliottina del giurì, hanno potuto ammirare questi poster. Come quelli, che hanno scatenato un vespaio di polemiche, dei due poliziotti intenti in una curiosa perquisizione sotto i vestiti di una famosa griffe indossati da avvenenti fanciulle. I cittadini non si sono scandalizzati, neppure di fronte alle ragazze che, reclamizzando una nota marca di accessori, sono state vestite sadomaso e legate a una sedia. La sinistra si straccia le vesti, in particolare i cattolici del Pd, con David Gentili che dice “di non vedere più un limite”. Unica voce fuori dal coro, quella laica di Carmela Rozza: “C’è un prezzo che si paga alla libertà, come quello di vedere un manifesto che non piace. La donna si tutela sul lavoro, non proibendole di vestire e posare come crede. Questo è moralismo. E se si ragiona così, dalla censura si passa al burqua”.
Pure la sinistra radicale boccia il codice etico. Secondo Francesco Rizzati (Comunisti Italiani) “il corpo umano, nudo, è una bellezza che alimenta i migliori sentimenti. Pensate all’arte. Anche se in questo caso, banalmente, si tratta di mercato e profitto”. Sul fronte moralista si schiera l’Italia dei Valori, con Raffaele Grassi. E al Pdl resta il compito di difendere la cultura liberale da un vero e proprio fuoco incrociato. Se Fabrizio De Pasquale fa da apripista (“A Milano, di un organismo che decida quali pubblicità autorizzare, non si sente proprio il bisogno”), il capogruppo Giulio Gallera spara a zero: “Un codice etico sarebbe antistorico, inutile e stupido. Ci chiedete di censurare in base a un senso del pudore che ormai cambia ogni due anni”. Femministe in rivolta, la cui ira viene placata dall’intervento di Carola Colombo. Lei, consigliere donna del Pdl, canta fuori dal coro dei censori. Nel partito berlusconiano, però, c’è anche Alberto Garocchio che parla di “sfregio della donna e di imbecilli furbi”. Un intervento, il suo, che fa innervosire i liberal Gallera e De Pasquale. I tre si chiariranno in corridoio, a riunione finita.
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