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Nella città del Carroccio, dove risiede Vincenzo Rispoli, ritenuto uno dei boss più potenti della Lombardia, si parla di mafia e legalità. Un ciclo di tre incontri, voluto con forza dal decano, monsignor Carlo Galli

La 'ndrangheta adesso fa paura, anche a Legnano. In 500 affollano l'auditorium. Assenti i politici. Per loro la mafia non esiste

 

Una presenza invisibile, quella della 'ndrangheta. Fino al 2008, quando dalla Calabria arriva l'ordine di sparare e uccidere, per la prima volta nel Legnanese. Straordinaria risposta della città del Carroccio al primo incontro sulle mafie, moderato dal giornalista de La Padania Andrea Accorsi, con Mario Portanova (giornalista de L'Espresso e autore del libro Mafia a Milano. Sessant'anni di affari e delitti, Melampo Editore) e con il vicequestore Antonio D'Urso 

 

LE MANI SULLA CITTA' - A Legnano la 'ndrangheta c'è da decenni. Nessuno l'ha mai percepita, fino agli omicidi del 2008. Nel frattempo però la malavita calabrese ha messo le mani sulla città del Carroccio, arrivando a controllare interi settori dell'economia, complici i politici che si ostinano a sostenere che la mafia, a Legnano, non esiste

di Ersilio Mattioni

LEGNANO (15 marzo 2011) “Enzo è una potenza qui in Lombardia. Fa così con le dita e si muovono duemila persone. Si girano e corrono”. Lo dice, parlando al telefono, Fabio Zocchi. Non sa di essere intercettato. E non sa che assieme alla sua i magistrati ascoltano migliaia di telefonate. E’ il 2006 e c’è un’inchiesta in corso. Nome in codice 'bad boys'. Nasce a Lonate Pozzolo, dopo che il leghista Modesto Verderio raccoglie gli sfoghi di commercianti esausti e intimoriti, vittime dei soprusi della 'ndrangheta calabrese. Chi è Enzo? E’ Vincenzo Rispoli, 48 anni, residente a Legnano. E’ considerato uno dei boss più potenti della 'ndrangheta in terra lombarda, anche se lui nega. Non è solo, Rispoli, nella città del Carroccio e dintorni. Anzi, qui la 'ndrangheta ha messo radici profonde, da tempo. Pochi se ne sono accorti fino alle due del pomeriggio del 15 luglio 2008, quando in un bar di San Vittore Olona succede qualcosa. Carmelo Novella sta bevendo un caffè, entrano due killer a volto coperto e gli sparano tre colpi di pistola in pieno viso. Passano meno di due mesi e mezzo. E’ il 27 settembre e siamo a San Giorgio su Legnano, quando una telefonata informa i Carabinieri che nei pressi del cimitero c’è un corpo all’apparenza privo di vita: è il cadavere di Cataldo Aloisio, con un foro di pistola che dalla bocca gli arriva alla nuca.

Senza questi due omicidi, decisi in Calabria dai boss della 'ndrangheta ed eseguiti in Padania, è probabile che ieri sera, nell’auditorium del liceo Galileo Galilei di Legnano, sarebbe andata in scena un discussione per pochi intimi, dai tratti autoreferenziali. Invece, alle 20 e 45, quell’auditorium è già strapieno. Trecento persone sedute, con altre duecento che si devono accontentare di stare in piedi, ai lati oppure in fondo. Andrea Accorsi, giornalista de La Padania e moderatore del dibattito, lo dice in apertura: “La risposta della città al nostro appello si vede da sé. Questa è la sala più grande di Legnano e non basta a contenere tutti”. Errore strategico, quello della 'ndrangheta. Se non avesse sparato e ucciso, sarebbe restata invisibile. Secondo gli inquirenti però quei delitti sarebbero stati inevitabili, soprattutto quello di Novella: il boss stava cercando di rendere la 'ndrangheta lombarda più autonoma, di slegarla insomma da quella calabrese. Quel sangue che scorre nell'Altomilanese, in ogni caso, è un fatto isolato che i boss non vogliono ripetere, fedeli al principio che i cadaveri, su al Nord, puzzano. “Non pensate ai mafiosi – scandisce Mario Portanova (giornalista de L'Espresso e autore di Mafia a Milano. Sessant’anni di affari e delitti, Melampo Editore, 491 pagg, 18,50 euro) – con la camicia aperta, la catenazza d’oro sul petto e la lupara. Non ci sono più. Oggi sono in giacca e cravatta, hanno modi gentili, hanno studiato diritto, conoscono la finanza”. Già, perché qui non siamo in Calabria. Qui, nella terra ricca e laboriosa, ricorda Accorsi, “la ‘ndrangheta viene per investire, si infiltra negli appalti, pratica il racket e l’usura, con buona pace di chi si ostina a ripetere che la mafia, da noi, non esiste”. Invece, non solo esiste. Cresce, prospera, occupa interi settori dell’economia, intimidisce, presta denaro a usura, fa strozzinaggio, cerca di entrare – e spesso ci riesce – nelle stanze dei bottoni, dove i politici oppongono poca resistenza e in cambio ricevono favori e voti per essere eletti e rieletti. Ecco perché, ricorda monsignor Carlo Galli, “è urgente parlare di un tema: l’omertà. Sono i cittadini a doversene occupare in prima persona, parlando e denunciando. Non si può pensare di riporre solo nelle mani delle istituzioni e delle forze dell’ordine il problema mafia”. Monsignor Galli lo dice con la pacatezza che lo contraddistingue. Parla pochi minuti, giusto il tempo di introdurre la prima serata di un ciclo di tre incontri (cliccate qui per leggere il calendario degli altri appuntamenti del ciclo Vedo, sento...parlo? Legnano tra mafie e legalità), iniziativa voluta e organizzata dal decanato. Ma le sue parole sono pesanti come pietre. E richiamano a un preciso dovere, quello del coraggio della parola.

Al tavolo dei relatori, con Accorsi e Portanova, c’è il vicequestore Antonio D’Urso del Commissariato di Legnano. E’ in città da meno di un anno. E punta molto sul controllo del territorio: volanti che girano e che si rendono visibili, “perché – chiarisce usando un’espressione che poco si presta a essere interpretata – la gente deve essere portata a pensare che è meglio andare alla Polizia, piuttosto che rivolgersi a don Ciccio”. Poi, per sgombrare del tutto il campo dagli equivoci, aggiunge: “La sicurezza non può essere garantita dal singolo agente o dal singolo magistrato. Si prenda atto che occorre la collaborazione dei cittadini, il loro aiuto, le loro denunce”. Dopo gli omicidi Novella e Aloisio, non si scherza più. Nessuno può dire, neppure mentendo, che la ‘ndrangheta a Legnano e dintorni non esiste. Portanova, sintetizzando anni di inchieste (fra cui la citata ‘bad boys’, l’operazione ‘infinito’ e la recentissima ‘redux’), traccia persino una mappa: “Il quadrilatero Milano-Varese-Lecco-Como, con la Brianza in mezzo, è la roccaforte della ‘ndrangheta”, assieme al triangolo Buccinasco-Trezzano-Corsico, dove la presenza della malavita organizzata è tanto storica quanto plateale.

Negli Anni Novanta la ‘ndrangheta convive con la mafia siciliana, la camorra e la sacra corona unita. Oggi, a Milano e in Lombardia, la malavita calabrese è rimasta sola, sia grazie a una struttura tribale (a farne parte sono soltanto persone con legami di sangue, il che rende in pratica inesistente il fenomeno dei pentiti) sia modernizzandosi, fiutando i nuovi business e capendo in anticipo i cambiamenti. Si potrebbe dire che la ‘ndrangheta è un’organizzazione capace di mantenere i costumi più arcaici e, nel contempo, di stare dentro la globalizzazione, sfruttandone al massimo le potenzialità. Un’industria, florida e in continua espansione. E invisibile. Tanto che a Legnano e dintorni, dove esiste da decenni, in pochi ne hanno percepito la presenza.

Cinquecento persone, sedute e in piedi, non si muovono dall’auditorium fino alle 23 inoltrate. Stanno in silenzio. Sembra che siano lì per capire, fino in fondo, di cosa stiamo parlando. Peccato che tra di loro non ci sia un solo sindaco del territorio, a cominciare da quello di Legnano. Peccato, anche se dai politici, che passano il tempo a negare che la mafia esista, mentre dovrebbero occuparsi di combatterla, non ci aspettiamo granché. Di sicuro, fra quelle cinquecento persone, c’è la ‘ndrangheta. Loro, i mafiosi, sono più furbi dei politici. Saranno venuti a sentire, a rendersi conto, a cercare di comprendere se i loro affari sono in pericolo di fronte a una città che, pur con colpevole ritardo, prende coscienza. Non sappiamo se il referente della ‘ndrangheta avesse in mano una penna e un taccuino. Sappiamo che, a serata finita, avrà scritto un report per il suo boss.

 

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3 dicembre 2010 - Ritratti di boss, i capi della 'ndrangheta in Lombardia e l'operazione 'infinito' (leggi l'articolo)

 

26 novembre 2010 - Desio (Brianza), l'ombra della 'ndrangheta. E la Lega manda tutti a casa (leggi l'articolo)

 

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